giovedì 3 luglio 2014

Tutto parla di te (2012)


Tutto parla di te
Italia/Svizzera, 2012, b/n e colore, 86' (1h 26')
Regia di Alina Marazzi

Visto ieri a Maremetraggio al Teatro Miela.

Pauline (Charlotte Rampling) è un'etologa. Emma (Elena Radonicich) è una ballerina che da poco ha avuto un figlio. Quando Emma è rimasta incinta, ha avuto molta paura: non sapeva fin quando avrebbe potuto continuare a ballare ed era sicura che, una volta smesso con la danza, non avrebbe più ripreso.
Pauline non conosce Emma, ma la segue insistentemente. Emma, dal canto suo, non si fida molto di Pauline. Un giorno le due si scambiano un paio di battute e diventano subito amiche.
L'interesse di Pauline per Emma non diminuisce e la donna va a parlare col regista della compagnia per cui la ragazza ballava. Questi confida a Pauline di non aver problemi a assumere di nuovo Emma, ma è la ragazza che non vuole. Il regista aggiunge inoltre che Emma dovrebbe mettere le preoccupazioni per il figlio nella danza, così da far uscire la sua parte interiore.
Pauline rivela ad Emma la sua storia: quando era piccola ed era a scuola, in casa è scoppiato un incendio. La madre ha chiuso le finestre e ha fatto morire il figlio appena nato, fratello di Pauline. La madre di Pauline è stata ricoverata in ospedale e là si è lasciata morire dimenticando la famiglia e ciò che di brutto aveva fatto.
Emma vede che Matteo, suo figlio, guarda le foglioline di un albero e si rende conto di avere un figlio bellissimo.
Tutta questa storia è inframmezzata da vecchi filmati in bianco e nero (dell'infanzia di Pauline, probabilmente) e da interviste a madri che raccontano la loro esperienza e la loro vita dopo la nascita del loro primo figlio.

Cominciamo col dire che è fin troppo chiaro che il film è stato girato da una donna, per quanto riguarda il tema trattato e il modo di metterlo in scena. E questa, ci tengo a dirlo, non è discriminazione ma è solo una constatazione.
Quella che è un'opinione personale, invece, è che il film è brutto. E lo è per tanti motivi. Il primo sono i personaggi - o, meglio, il personaggio di Charlotte Rampling. Non so quale fosse l'intento della regista, ma una delle prime cose che Pauline dice a inizio film, a chi le chiede se la casa dove è tornata dopo tanti anni fosse la sua casa di infanzia, risponde sdegnata: «No, noi abitavamo sul lago». Posto che ancora mi chiedo di chi fosse quella casa, decisamente l'ingresso in scena della donna non ce la fa amare. E non ce la fanno amare nemmeno tutte le cose che fa dopo: parla da sola in casa (bieco espediente narrativo per creare nello spettatore la curiosità di capire cosa sia successo nell'infanzia della donna), si comporta come una stalker nei confronti di Emma, ficca il naso dappertutto e impiega un'ora e un quarto (!) a raccontare finalmente la sua storia.
E situazioni e dialoghi non contribuiscono a migliorare il film. Per metà film Emma detesta palesemente Pauline, salvo poi rivolgerle proditoriamente la parola (per dirle che non ha più tempo di leggere un libro, signora mia!) e diventarne la migliore amica. Ma potrei citare il dialogo in cui Emma si arrabbia perché secondo Pauline i bambini non sono così fragili: la ragazza si altera di brutto, urla un «Che cazzo vuoi?» all'amica, le chiede se ha mai avuto figli e se ne va. Una scena-cliché di rara bruttezza. O la fine, in cui il figlio di Emma guarda le foglie e lei, dal nulla, ha un'epifania che consente di chiudere il film più veloce della luce.
La parte peggiore, però, sono le interviste alle madri. Al di là che non hanno alcun nesso con la storia, tanto che sono inserite a forza nella trama, sono davvero terribili. Non scherzo: farebbero passare la voglia di maternità a chiunque! Vengono tutte spiattellate sullo schermo senza un filtro di alcun tipo. Anche supponendo che siano reali (quella di Emma non lo è, quindi potenzialmente non lo è nessuna), davvero si fatica a capire dove vogliano andare a parare. Far capire che la maternità non è solo rose e fiori? Davvero c'è qualcuno che lo pensa ancora? Il fatto che far crescere un figlio da soli non è semplice? E chi ha mai detto che lo sia? Ma soprattutto: e i padri? Dove sono? Sembra che le donne - tutte! - siano costrette a fare tutto da sole. Sono separate? Vedove? Cos'altro? E perché non dirlo anziché lasciare che il film suggerisca, in modo neanche troppo velato, il fatto che solo la madre ha il diritto/dovere di allevare figli?
Un film davvero terribile che propone stereotipi nella parte di fiction e non dà una forma alla parte documentaristica (ammesso che sia davvero tale), che si perde tra i generi ammassandoli senza un criterio, che spreca le poche idee buone che può avere per renderlo un ibrido tra il sensazionalistico e il femministico.